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CHI PARLA DI ENERGIA NUCLEARE IN ITALIA VI PRENDE IN GIRO

Di Rino Pruiti (del 04/01/2008 -17:35:43)
Vent’anni dopo il referendum (1987) le ragioni del NO all'energia nucleare sono ancora attuali, sia per lo smaltimento delle scorie che per la quantità di uranio. Senza contare i costi reali. Non ci sono esempi accettabili per la gestione di lungo periodo delle scorie, i reattori a sicurezza intrinseca sono ancora allo studio, non esiste una filiera che non sia utilizzabile anche a fini militari, le riserve di uranio sono molto limitate. E, non meno importante, l’energia nucleare è molto più costosa di quanto si dice e rappresenta.
Questa mancata soluzione dei nodi irrisolti della tecnologia nucleare di fissione permane, nonostante decenni di investimenti pubblici in ricerca e sviluppo che hanno visto le tecnologie nucleari assorbire gran parte delle risorse nei Paesi Ocse destinate al settore energetico. Infatti, se le fonti rinnovabili, tutte insieme, nel periodo 1992-2005 hanno visto l’11% delle risorse di ricerca e sviluppo, il nucleare da fissione ha assorbito oltre il 46% e quello da fusione oltre il 12% (fonte Iea).
L’uranio estraibile a costi economici calcolabili, secondo le stime correnti, è dell’ordine dei 3,5 milioni di tonnellate. Con un consumo attuale dell’ordine di 70 mila tonnellate/anno per coprire il 6% della domanda globale di energia primaria, il rapporto tra consumi e risorse è di 50 anni (ci vogliono almeno 10-12 anni per costruire una centrale nucleare).
Se davvero ci fosse un “rinascimento nucleare” l’esaurimento della risorsa sarebbe ancora più veloce. In questi ultimi 4 anni il prezzo dell’uranio è salito di circa 20 volte, senza che ci sia stato alcun aumento della richiesta. Allo sviluppo dei reattori di IV generazione (2030 secondo i promotori) è affidato anche il compito di superare questi limiti: tre delle sei filiere studiate sono reattori veloci al plutonio e, tra queste, quella più avanti nello sviluppo è raffreddata al sodio liquido. Il Superphénix, un reattore veloce al plutonio raffreddato al sodio liquido, cui era affidato il compito di trasformare in plutonio l’uranio naturale, è stato il più grande fallimento industriale della storia: 13 mila miliardi di lire anni ‘80 e ‘90, cui si devono aggiungere 2,1 miliardi di euro (stimati dalla Corte dei Conti francese per lo smantellamento) chiuso nel 1994 dopo 54 mesi per i continui incidenti. I cittadini italiani non lo sanno ma hanno pagato attraverso Enel il 33% di queste cifre.
In Italia ci sono 235 tonnellate di combustibile nucleare ’irraggiatò, usato prima del referendum dell''87 nella centrale di Caorso. Invece di pensare al nuovo, bisogna pensare anzitutto che la sistemazione delle scorie costerà non meno di 4 miliardi di euro, prelevati dalle bollette della luce con gli “oneri nucleari” (150 milioni all’anno circa). Il contratto da 267 milioni di euro siglato dal governo con la francese Areva per “ritrattare” le 230 tonnellate di combustibile esaurito, è una scelta che non risolve nulla -le scorie vetrificate ritorneranno comunque in Italia -e produce emissioni inquinanti e rischi nei trasporti in andata e ritorno. Il primo dei trasporti da Caorso è in attuazione.