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NETANYAHU DICE NO “SAREBBE A RISCHIO LA NOSTRA SICUREZZA”
Il premier israeliano oggi arriverà a Washington Abu Mazen soddisfatto. Hamas: dialogo inutile
ALDO BAQUIS
Sorpresa e irrigidimento di Israele; apprezzamento dell’Anp; indignazione di Hamas: questi i sentimenti innescati dal presidente Barack Obama quando ieri ha enunciato la propria visione di pace in Medio Oriente basata sulla costituzione di uno Stato palestinese, indipendente e smilitarizzato, lungo le linee armistiziali in vigore fino alla guerra dei Sei giorni (1967), con scambi concordati di terreni con Israele.
Mentre il Presidente parlava, il premier Benyamin Netanyahu era in una saletta dell’aeroporto Ben Gurion (Tel Aviv) in partenza per Washington, dove oggi incontrerà Obama. Il discorso presidenziale a quanto pare lo ha colto di sorpresa, lo ha sbilanciato.
Poco prima del decollo Netanyahu ha polemizzato sia con Obama, sia con il presidente dell’Anp Abu Mazen. Al primo ha ricordato che nel 2004 il presidente
George Bush si era impegnato per iscritto con Ariel Sharon che gli Stati Uniti non avrebbero chiesto ad Israele un ritorno alle linee del 1967 «perché indifendibili». In quella lettera si esprimeva comprensione per la necessità di Israele di annettere, nel contesto di accordi di pace, alcune zone omogenee di insediamento in Cisgiordania a fini difensivi.
Il premier ha anche biasimato Abu Mazen per il suo recente accordo di riconciliazione con Hamas, «una organizzazione terroristica che punta alla distruzione di Israele». Secondo Netanyahu, Abu Mazen cerca di ottenere dall’Onu la proclamazione di uno Stato palestinese non a fini di pace, «ma al contrario per prolungare il conflitto».
Visto da Ramallah, il discorso di Obama invece è piaciuto. Hanno destato particolare emozione gli espliciti riferimenti americani alle linea del 1967, al concetto che «lo status quo non può durare all’infinito» e che i palestinesi hanno diritto a beneficiare di pace e giustizia. Perplessità è stata invece espressa per l’opposizione di Obama alla proclamazione all’Onu di uno Stato palestinese e per l’assenza nel discorso di un appello esplicito al congelamento degli insediamenti ebraici. Proprio ieri, mentre il Presidente parlava, il municipio di Gerusalemme ha autorizzato la costruzione di 1500 nuovi alloggi a Har Homa e Pisgat Zeev, due rioni ebraici che si trovano oltre le linee del 1967.
Da parte loro ai portavoce di Hamas sono bastati pochi minuti per stroncare l’intera visione di Obama «reo», ai loro occhi, di avere troppo a cuore le necessità di sicurezza di Israele. Ancora nei giorni scorsi un dirigente di Hamas, M a h m u d a-Zahar, ha stimato che i negoziati fra Anp e Israele sono del tutto futili e che l’unica opzione praticabile è quella della lotta armata a oltranza.
Malgrado la prima reazione irritata di Netanyahu e del suo entourage, il testo della Casa Bianca echeggiava diversi temi ricorrenti negli interventi del premier. Fra questi: la necessità di strette misure di sicurezza a difesa di Israele e di un ritiro solo graduale dalla Cisgiordania (dove abitano oltre 300 mila ebrei); l’opposizione alla proclamazione di uno Stato palestinese al di fuori di precise intese con Israele; il ritorno al tavolo dei negoziati; l’obbligo per Hamas di riconoscere Israele e dunque un atteggiamento di velato scetticismo (almeno in questa fase) verso gli accordi di riconciliazione palestinese.
Anche l’opzione di scambi di terreni, avanzata ieri da Obama, era già stata posta sul tavolo da Ehud Olmert. Lo stesso Netanyahu - che ieri ha ribadito la necessità per Israele di mantenere anche in futuro una presenza militare sul fiume Giordano - ha detto mercoledì alla Knesset, il parlamento israeliano, che Israele dovrà mantenere il controllo nelle zone omogenee di insediamento in Cisgiordania, ma ha lasciato intendere che per le colonie al di là della Barriera c’è di che parlare. Oggi, da Obama, Netanyahu cercherà di ribadire due concetti centrali: che i palestinesi devono riconoscere Israele come Stato ebraico (sbarrando definitivamente la possibilità di un ritorno in massa di profughi palestinesi) e che i futuri accordi di pace rappresenteranno la conclusione del conflitto. Senza questi pilastri essenziali, l’intero progetto di Obama rischia - secondo Israele - di restare sulla carta.
LA STAMPA 20 MAGGIO 2011