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petroleo_01L´ONDA NERA TOCCA TERRA NAVI, AEREI E BARRIERE NON FERMANO L´ECO-DISASTRO
Louisiana, migliaia di delfini intrappolati. La rabbia dei pescatori di Venice: "Per sette giorni  ci hanno raccontato solo menzogne".
Pellicani, granchi, gamberetti: l´intero e unico patrimonio ittico è minacciato di morte.
DAL NOSTRO INVIATO
Alberto Flores D´Arcais
Sono macchie dense e vischiose che trasformano il delta del Mississippi in acque multicolori. Il «rainbow sheen», l´avamposto della grande marea nera che sta distruggendo l´ecosistema del Golfo del Messico, ha raggiunto le coste della Louisiana iniziando la sua opera devastatrice.
«È a poche decine di metri da Pass-a-Lourtre». L´allarme rosso era arrivato nella notte, lanciato da un elicottero giallo della Guardia costiera. Un disastro che ha fatto già le prime vittime, cinquemila delfini intrappolati tra la piattaforma affondata e le coste di Louisiana e Mississippi, decine di pellicani incatramati che vengono soccorsi dagli uomini della Guardia costiera.
A Venice, paese di poche case, molti trailer e barche di ogni tipo attraccate lungo i canali e le paludi, si preparano al peggio, mentre cresce la rabbia. «Non sappiamo se dobbiamo prendercela con la Bp, con la Guardia costiera o con il governo del presidente Obama», sbotta Jack che insieme al fratello Michael lotta contro il tempo per salvare i suoi gamberetti. «La verità è che ci stanno lasciando soli. Per una settimana tutti hanno sottovalutato il pericolo e ci hanno raccontato un sacco di menzogne». E i gamberetti? «Viviamo grazie a loro, se li perdiamo finiamo sul lastrico ed è molto probabile che ci finiremo nei prossimi mesi».
Sui moli del Bud´s Boat Lunch, le donne e gli uomini della Guardia costiera ammassano galleggianti gonfiabili e sofisticate attrezzature per ripulire l´acqua marina. Lavorano senza sosta da due giorni, turni di riposo di poche ore, l´ansia di chi sa che sta per arrivare l´irreparabile: «Faremo tutto il possibile, abbiamo costruito chilometri di barriere galleggianti, stiamo monitorando tutto il delta con le barche, gli elicotteri, gli aerei. Solo che è una lotta impari, il vento soffia più veloce del nostro lavoro».
Il vento che soffia da sud-est in realtà un poco è calato ed è questo il motivo per cui il grande impatto della sterminata marea viscosa con le coste della Louisiana è in ritardo rispetto alle previsioni più allarmistiche. «In ritardo, ma di quanto? Forse ore, forse un giorno, ma poi la catastrofe annunciata accadrà, eccome se accadrà». Robert Louis è un veterano della Exxon Valdez, un ingegnere ambientalista che ventuno anni fa era corso d´urgenza in Alaska per dare una mano in quella che è stata fino a questo momento la più grande tragedia ambientalista nell´intera storia degli Stati Uniti: «Tutto lascia supporre che questa sarà peggio. Gli animali? Per ora ne sono stati colpiti pochi, quelli che si trovavano più al largo o nelle zone dove le prime macchie sono già arrivate in mezzo alle paludi». Mi fa da guida lungo un canale, diversi pellicani sono a riva, ancora nessuno è segnato dal nero del catrame. «Ma è solo questione di tempo e non solo per i pellicani ma per decine di altre specie di uccelli, per le tartarughe, per i delfini, forse anche per le balene».
L´ecosistema del delta del Mississippi rischia di essere segnato per decenni e l´economia di queste zone, che oltre al petrolio si mantiene sul patrimonio ittico, potrebbe ricevere un colpo mortale. Non soli i gamberetti.
Anche gli allevamenti di ostriche, le cozze, i granchi, tutto ciò che ha fatto grande la cucina di questo Sud maledetto dalla natura e a volte dalle insipienze degli uomini, è a rischio. È un mercato, quello ittico, che vale qualcosa come 1,8 miliardi di dollari ogni anno. «Siamo secondi solo all´Alaska» dicono all´unisono e con una punta di orgoglio Jack e Michael, «maledetti tutti quelli che hanno una colpa in questa storiaccia».
Il vento soffia meno forte ma il tempo è inclemente. Il cielo sopra Venice è grigio plumbeo, qualche rovescio di pioggia infanga le stradine sterrate in mezzo alle paludi. In cielo volteggiano gli elicotteri della Guardia costiera, che danno in tempo reale gli aggiornamenti della situazione. Come in tutte le grandi catastrofi anche sui moli di Venice non si conta il numero di telecamere, di van con le grandi antenne paraboliche, di fotografi, di giornalisti, tutti pronti a cogliere l´attimo, l´immagine simbolo della marea nera. I pochi lodge disponibili, piccole pensioni o trailer che si attrezzano come se lo fossero, non hanno più un buco libero. La gente del posto non sembra però infastidita, è cordiale, amichevole, pronta ad aiutare chiunque voglia sapere qualcosa di più.
Si diffonde la voce che a Fort Jackson, qualche chilometri più a nord, siano stati immortalati dalle telecamere della Bbc dei pellicani incatramati che la Guardia costiera sta provvedendo a ripulire. «Inutile affannarsi, tempo un paio di giorni ce ne saranno molti altri», sentenzia con scherno il veterano della Exxon Valdez.
Nell´aria si respira l´odore agro del greggio bruciato. Arriva dagli incendi appiccati in mare aperto nel tentativo disperato di frenare la marea nera, ma anche dalle grandi raffinerie lungo i cento e passa chilometri di strada che da New Orleans portano fino a qui. La Chevron, la Conoco Phillips, la British Petroleum, la compagnia che siede sul banco degli accusati e che adesso tutti stramaledicono.
LA REPUBBLICA 1 MAGGIO 2010