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2Allassane-Dramane-OuattaraCOSTA D'AVORIO, LA PACE DIFFICILE
Voci di una ripresa imminente delle ostilità, violenze che continuano e un rapporto di Amnesty che non salva nessuno, nemmeno il nuovo presidente Ouattara

Si può scrivere un capitolo nuovo se si hanno le mani sporche del sangue sparso in quello precedente? E' questa la domanda che resta alla fine della lettura del dossier intitolato "They looked at his identity card and shot him dead". Six months of post electoral violence in Cote d'Ivoire. Lo firma Amnesty International, che in 80 pagine ricostruisce in maniera esaustiva, ma soprattutto con obiettività, sei mesi di violenze etniche, politiche e religiose, perpetrate da quelle strane nebulose di gruppi armati che mischiavano forze regolari, paramilitari, ammutinati, mercenari e ribelli, che si sono affrontate per conto e in nome di due presidenti: quello uscente, Laurent Gbagbo, e Alassane Ouattara, vincitore delle ultime elezioni presidenziali. Sui crimini commessi nel sud del Paese dai reparti fedeli a Gbagbo, ai danni dei sostenitori di Ouattara o presunti tali, si è scritto molto. Ora Amnesty illumina anche l'altra metà del campo di battaglia con un report che costituisce anche un atto d'accusa verso il presidente e il suo premier, Guillaume Soro. A pagina 37, il passaggio politicamente più forte: con la creazione delle Forces Republicaines de Cote d'Ivoire, "il presidente Ouattara si è assunto la responsabilità di tutti gli atti commessi o tollerati da queste forze armate".
Il grosso degli avvenimenti coincide con l'attacco lanciato dall'Frci il 28 marzo, un'offensiva che in pochi giorni le avrebbe portate ad Abidjan, dopo aver preso possesso dell'ovest e del sudovest del Paese, messi a ferro e fuoco. Il 29, le Forze repubblicane entrano a Duekué e passano per le armi molti civili di etnia Bètè e Guère, sospettati di aver votato in massa per il rivale di Ouattara. Il report racconta di persone fatte sdraiare a terra e interrogate sul gruppo etnico di appartenenza e poi sgozzate; di preti uccisi nelle loro chiese. Nei pressi del ponte sul Guèmon, i soldati raccolgono un gruppo di civili. Li dividono per sesso, costringendoli a cantare inni a Ouattara. Lì, gli ispettori di Amnesty troveranno 56 cadaveri. L'assalto al Quartier Carrefour ha lasciato sul terreno 817 persone, scrive Amnesty citando un testimone che ha assistito alla conta dei cadaveri. Le forze dell'Frci avanzano accompagnate da milizie malinkè e  da dozos, cacciatori tradizionali. Seminano morte in tutta la zona: nei villaggi Dahoua, Bahè Bè, Pinhou, Dièhiba. Chi è in grado di fuggire, scappa non appena si sparge la notizia del loro arrivo. Chi non può, ha il destino già scritto. A Dèlobly, una sopravvissuta racconta del padre, troppo anziano per correre: sgozzato da soldati dell'Frci. Stessa sorte toccata Dogo Hervé, un bambino di sette anni trucidato insieme allo zio, nella città di Guiglo. In alcuni casi, i militari utilizzano cani per rintracciare coloro che erano riusciti a nascondersi nella foresta, inseguirli e ucciderli.
Nel sud, intanto, le squadre di Gbagbo da dicembre attaccano il quartiere di Abobo, un satellite a nord di Abidjan abituato in larga parte da ivoriani di fede islamica, provenienti dal nord (Dioula) o originari dei Paesi della sub-regione che comprende Burkina Faso, Guinea, Mali e Senegal. Uccidono imam, attaccano moschee, sparano più volte su raduni di elettori di Ouattara, entrano nelle case, stuprano donne, uccidono ragazzini, sequestrano persone e beni. Riconoscono i loro obiettivi da cognomi poco ivoriani, o da vesti tipiche come i boubou o amuleti propiziatori. Non sgozzano, ma bruciano vive le loro vittime. Al nord gli stessi massacri si ripetono a parti invertite, con i Guère e i Bété come vittime designate. Da dicembre fino ai primi di marzo, sono le Forces Armèes des Forces Nouvelles (Fafn), la guerriglia, a muoversi per prime, affiancate da dozos e da milizie di villaggio. Il loro terminale politico è il premier e ministro della difesa del governo formato da Ouattara, Guillaume Soro. La situazione cambia l'8 marzo, quando il presidente annuncia la nascita delle Frci, che assorbono le Fafn e vengono poste sotto il suo comando. La catena di comando si fa meno opaca ma la violenza, come visto, non cessa. Ouattara ha promesso indagini sui massacri ma dovrà guardare attentamente anche nel suo giardino.
Le violenze degli ultimi sei mesi hanno riaperto vecchie ferite e acutizzato tensioni etniche. Sono centinaia di migliaia gli sfollati interni e i profughi fuggiti oltre confine che testimoniano la forte insicurezza che ancora si respira. Le vendette continuano. Circa 300 i cadaveri ritrovati nel sud ovest del Paese e a Yapugon ai primi di maggio. Tra le decine di corpi trovati in queto distretto, c'era quello di Sylvain Gagnetaud, condirettore di Radio Yapougon, un giornalista molto vicino all'ex presidente. Pochi dubbi sul fatto che sia stato ucciso proprio per questo, dagli stessi macellai che hanno riempito quella fossa comune. Il suo capo, Paule-Benedicte Tagro Guyemane, si nasconde per sfuggire alla morte, come Ferdinand Bailly di Infocotedivoire.net e Florinda basile Bahi di Sport Mag, costretti alla fuga dopo che anonimi delatori li hanno segnalati come "giornalisti di Gbagbo". Il clima è questo. Circolano poi voci di una controffensiva di quel che resta delle forze armate fedeli a Gbagbo: si sarebbero raccolte nella foresta del Banco, in Ghana, e si preparerebbero ad attaccare. E poi ci sono alcuni inquietanti misteri, come l'omicidio di Ibrahim Coulibally, capo dei cosiddetti Commando Invisibili (anche loro responsabili di diversi crimini, ndr), acerrimo nemico di Soro che però con i suoi uomini ha contribuito alla conquista del nord di Abidjan. In un primo tempo ha rifiutato di sottomettersi al nuovo presidente e consegnare le armi, poi ha chiesto un incontro con Ouattara per reclamare un pezzo della torta. E' stato ucciso durante un attacco a sorpresa dell'Frci in circostanze non ancora chiarite, probabilmente mentre era in vigore un cessate il fuoco tra i due gruppi. Più che un esercito, sostengono i critici, sembra un coacervo di clan, in cui uno dei leader massimi è il numero due della gerarchia ufficiale, Issiaka Ouattara, detto Wattao, ritenuto con il cugino Morou Ouattara un signore del traffico di oro, cotone e auto. Un rapporto dell'Onu valuta i suoi traffici intorno al milione e mezzo di euro l'anno. Con loro opera anche Hervé Pélikan Touré che era alla guida del "Battaglione mistico" delle Forces Nouvelles. Per assicurare una reale pace al Paese, Ouattara dovrà faticare molto.
Alberto Tundo
1 giugno 2011 – Peace Reporter