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reactor_romaTORNANO IN ATTIVITÀ I REATTORI NUCLEARI DI RICERCA ALLE PORTE DI ROMA
In occasione dei 50 anni del Centro di Ricerca Enea della Casaccia ROMA - Triga e Tapiro sono ripartiti. In realtà non si erano mai fermati, se non per problemi amministrativi o per la manutenzione («Un lifting», dice Emilio Santoro, direttore responsabile di Triga, «ma non dovuto agli anni, perché i reattori funzionano benissimo e, anche se hanno 50 anni, si può veramente dire che non li dimostrano»). Il 20 ottobre è stata l’occasione per celebrare le nozze d’oro della Casaccia, il centro di ricerca dell’Enea a Santa Maria di Galeria, e data migliore non poteva esserci per rimettere ufficialmente in moto («portare a criticità») i due reattori atomici sperimentali e di ricerca alle porte di Roma.
REATTORI DI RICERCA – Triga e Tapiro non sono centrali atomiche, non producono infatti energia da immettere nella rete elettrica (che in Italia non si può più fare da quando le tre centrali allora funzionanti sono state chiuse da leggi del Parlamento – e non dai tre referendum su materie nucleari del 1987, come molti credono - quindi con una scelta politica precisa e largamente condivisa) pur se ogni giorno l’Italia consuma il 20% di energia elettrica importandola da centrali nucleari estere. Triga (che sta per Training, Research, Isotopes, General Atomics) e Tapiro hanno proseguito, in silenzio, il loro lavoro perché un reattore atomico non significa solo Chernobyl o Three Mile Island, scenari da Sindrome cinese o da facciata per produrre elementi fissili per scopi militari (leggi Iran e Corea del nord), ma vuol dire anche materiali per la terapia e la diagnosi dei tumori, senza i quali la medicina oggi non potrebbe fare a meno, significa analisi dei materiali con i neutroni per osservare fenomeni corrosivi o di stress che i raggi X non sono in grado di rivelare, e tutta una vasta gamma di applicazioni dall’industria petrolifera e aeronautica, al comparto agro-industriale al supporto per sofisticate analisi forensi. Senza dimenticare il fine ultimo per il quale sono stati costruiti: la ricerca e la formazione di tecnici specializzati. Quindi nucleare inteso come «volano» di ricerche in vari settori, non necessariamente atomici.
STORIA E ORGOGLIO - Ed è proprio questa la funzione che l’Enea, dal suo commissario Giovanni Lelli ai vari dirigenti sino ai tecnici, hanno voluto ricordare alla scadenza dei 50 anni della Casaccia, anche con l’orgoglio di chi conosce il proprio passato che risale al genio di Enrico Fermi e ai «ragazzi di via Panisperna». La Casaccia è un centro di ricerca all’avanguardia europea che non nasce dal nulla, ma dall’esperienza del centro di Ispra, come ha voluto ricordare il professor Agostino Mathis donando alcuni sprazzi di cosa voleva dire la ricerca atomica negli anni Cinquanta. Il centro di Casaccia venne creato quando l’Italia – in quegli anni all’avanguardia mondiale in questo settore - volle realizzare un sito «nazionale» all’indomani della «cessione» di quello di Ispra all’allora nascente Euratom.
PROGRAMMA ITALIANO - Ora il governo Berlusconi intende rilanciare il programma nucleare italiano con la costruzione di 4-5 centrali, la prima delle quali dovrebbe entrare in esercizio – mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo – nel 2020. Un programma – molto costoso – che è sia controcorrente che all’interno di una tendenza mondiale. Controcorrente perché altre nazioni e importanti investitori privati internazionali stanno puntando con molta decisione sulle fonti rinnovabili (si veda per esempio la Danimarca, la Germania, la Gran Bretagna, il progetto Desertec), cosa che anche Roma intende fare ma con molto meno entusiasmo. Il progetto nucleare italiano è comunque ben inserito in una tendenza mondiale, visto che accanto alle 430 centrali attualmente in funzione se ne stanno costruendo o sono in progetto decine di nuove in tutti i continenti, dagli Usa alla Cina, passando dalla Germania dove la cancelliera Merkel ha allungato la vita di 8-14 anni di quelle esistenti dalle quali ricavare i soldi per investire nelle rinnovabili. L’Italia sta nel mezzo e con il decreto legislativo del 15 febbraio di quest’anno, come ha ricordato anche il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico con delega all’energia, Stefano Saglia, in un messaggio di saluto per i 50 anni della Casaccia, l’obiettivo del governo è giungere nel 2030 a un mix 50-25-25 per la produzione energetica, per rientrare anche nei parametri sottoscritti dal nostro Paese con il Trattato di Kyoto per il contenimento delle emissioni di gas serra, parametri che, come più volte espresso ad alta voce da diversi esponenti governativi, l’Italia non si dannerà l’anima per raggiungerli a tutti i costi. Il mix significa che l’Italia produrrà il 50% di energia da combustibili fossili (in gran parte gas, in misura minore carbone e una piccola frazione di petrolio), il 25% dal nucleare e il 25% da fonti rinnovabili (di cui il 15% idroelettrico e il 5% da eolico, solare, geotermico e biomasse).
PERPLESSITÀ - Ed è proprio questo ultimo 5% a lasciare perplessi molti attori del settore, dato che le più recenti proiezioni indicano una produzione del 22% dell’energia su scala mondiale entro il 2030 dovuta al solo eolico, senza contare il solare. Per non parlare poi dei dati che indicano una netta diminuzione dei costi dell’energia prodotta con sole e vento grazie al velocissimo progresso tecnologico di questi settori dovuto agli investimenti e all’economia di scala quando molti impianti saranno installati, costi che già oggi secondo uno studio americano (contestato dall’Enel) sono minori o comunque ampiamente competitivi con quelli dell’energia nucleare.
RICERCA - Casaccia entra indirettamente con il piano di rilancio del nucleare italiano. Perché Triga e Tapiro resteranno reattori di ricerca ma, nell’ottica di rilancio, proprio da qui, come è stato anche negli ultimi 25 anni post-Chernobyl, usciranno i ricercatori e i tecnici che formeranno la nuova classe «atomica» nazionale. Il Tapiro (acronimo di TAratura PIla Rapida a potenza 0) per le sua caratteristiche di sorgente di neutroni veloci sarà utilizzato per la validazione dei codici di calcolo di nocciolo impiegati nella progettazione di reattori di IV generazione non proliferanti (cioè non utilizzabili a fini militari perché «bruciano» anche il plutonio). Reattori, quelli di IV generazione come vuole il piano europeo in materia, che inizieranno a essere costruiti come impianti dimostrativi e di ricerca non prima del 2020, dato che comportano grandi difficoltà tecnologiche a causa della corrosione dei metalli liquidi utilizzati come refrigeranti (ce ne sono di quattro tipologie: al piombo, al sodio, al piombo-bismuto, a sali fusi – l’Italia punta sulla tecnologia al piombo, senza però tralasciare gli altri tipi), delle temperature di esercizio di 200 gradi più alte rispetto ai reattori di III generazione e al danneggiamento di dieci volte maggiore provocato dai neutroni veloci. Insomma, una sfida scientifica e tecnologica di tutto rispetto, e per il Tapiro (che ha quasi 40 anni) un bel riconoscimento nei confronti di chi allora vide molto lontano nel futuro.
Paolo Virtuani
21 ottobre 2010 – Corriere della Sera