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“CHERNOBYL E I CRIMINALI NUCLEARI”
Il medico che lanciò l’allarme sul reattore ora bielorusso, denuncia la volontà di costruire nuove centrali
Il ‘popolo di Chernobyl’ sta subendo un genocidio.
Il governo ucraino, russo e bielorusso non stanno facendo nulla per proteggere la popolazione che vive nella zona colpita dalle radiazioni del disastro nucleare del 1986. Se non interveniamo informando gli abitanti sui rischi che corrono continuando a cibarsi di cibo radioattivo in pochi decenni quel popolo sparirà”. Non usa mezzi termini Yuri Bandazhevski, medico e ricercatore bielorusso, il primo a denunciare le conseguenze delle radiazioni di Chernobyl. Imprigionato dal regime Lukashenko per 4 anni e liberato solo grazie all’intervento di un movimento di pressione internazionale e ad Amnesty International, è appena stato in Italia per incontri organizzati dai volontari di ‘Mondo in Cammino’.
“Nell’area compresa tra Russia, Ucraina e Bielorussia – spiega   10 milioni di persone, tutte accomunate dalla condanna all’estinzione. È ciò che chiamo il ‘popolo di Chernobyl’: hanno tutti le stesse malattie; la mortalità è più alta della natalità, sono sempre più numerosi i bambini che nascono con malformazioni gravi. Chernobyl è una catastrofe che continua ancora oggi, nella più totale ignoranza della popolazione e nel disinteresse dei nostri governi. Come se non bastasse Lukashenko sta facendo ripopolare le aree contaminate, obbligando la popolazione a trasferirsi e a cibarsi di prodotti agricoli radioattivi: sta condannando il suo stesso popolo!”.
LA VERITÀ SCOMODA su quello che accadde a Chernobyl il governo bielorusso non la volle sentire. Yuri Bandazhevski, fondatore e rettore dell’Università di Medicina di Gomel, subì la repressione del regime proprio perché aveva osato denunciare l’inadeguatezza delle misure di   protezione, ma soprattutto aveva dimostrato come la popolazione fosse esposta alla radioattività da molto tempo prima del disastro di Chernobyl. “Portai in tv una mappa della radioattività stampata in un libro del 1974, a cura del ministero della Sanità sovietico e l’ho confrontata con una post 1986: combaciavano esattamente. Pochi giorni dopo mi hanno arrestato”.
Oggi il ricercatore dirige il Centro “Ecologia e Salute” a Kiev, patrocinato   dal Parlamento europeo. “Fino a oggi nessuno ha mai tenuto sotto controllo la situazione, non ci sono statistiche, o meglio ci sono, ma non le hanno mai pubblicate”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è infatti vincolata da un accordo all’Agenzia Atomica Internazionale del 1959: l’una non può divulgare dati e informazioni senza il consenso dell’altra. “Io credo – dice - che solo quando l’Oms sarà libera di dichiarare le cifre ufficiali saremo in grado di avere informazioni adeguate per pronunciarci sui rischi dell’energia nucleare”.
È PER QUESTO CHE Bandazhevski si batte contro la costruzione di nuove centrali nucleari nel mondo. “Non fidatevi di chi dice che le centrali nucleari sono sicure: nessuno può garantirlo, perché la scienza non è in grado di gestire fino in fondo l’energia nucleare. Chernobyl è stato un campanello d’allarme per l’umanità, cos’altro deve succedere   per convincerci che non è la strada giusta?”.
Il governo Lukashenko pochi mesi fa ha dichiarato la sua volontà di costruire una nuova centrale nucleare in Bielorussia, nella regione di Grodno che è – ironia della sorte – la terra d’origine dI Bandazhevsky: “Le centrali nucleari che si vogliono costruire oggi servono solo a entrare nel club delle potenze militari. Non si può separare l’uso civile dall’uso militare, altrimenti perché tanta preoccupazione per le centrali iraniane? E ora anche la Bielorussia è in procinto di costruirne una: dopo quello che abbiamo subito e che subiamo per colpa di Chernobyl è una volontà criminale! Io continuerò a dire la verità e a denunciare questa situazione, nonostante l’arresto e le numerose minacce che ho ricevuto per me e la mia famiglia se continuo a parlare. La mia esperienza lo testimonia: la democrazia finisce proprio lì dove si comincia a parlare di nucleare”.
di Francesca Bellemo
IL FATTO QUOTIDIANO 6 NOVEMBRE 2010