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AIELLO CALABRO. RIFIUTI RADIOATTIVI SEPOLTI NEL TORRENTE OLIVA

I satelliti hanno individuato l'area, mentre i carotaggi confermano i sospetti: la Procura di Paola ha ordinato scavi e bonifiche
I naufragi sospetti avvenuti tra il 1981 e il 1993 e lo spiaggiamento della motonave "Jolly Rosso"
Arcangelo Badolati
Un torrente che sgorga placido tra la vegetazione mediterranea e una lussureggiante collina che domina austera lo scorrere delle acque. È in questa amena area del Cosentino, posta al confine tra i comuni di Aiello Calabro e Serrra d'Aiello, che sarebbero sepolte ingenti quantità di rifiuti radioattivi. Rifiuti individuati grazie alla caparbietà del procuratore di Paola, Bruno Giordano, che negli ultimi mesi ha fatto eseguire carotaggi e analisi agli "specialisti" dell'Arpacal, ai Vigili del fuoco ed ai carabinieri del Nucleo operativo ecologico. Il magistrato inquirente ha pure disposto rilievi satellitari che hanno confermato lo sconcertante esito degli accertamenti: nella zona il livello della radioattività è cinque volte superiore alle fonti naturali. E i satelliti rilevano dall'alto escursioni termiche che testimoniano della presenza di sostanze sospette.
«Presto cominceranno gli scavi – spiega il procuratore Giordano – e capiremo di fronte a cosa ci troviamo». Il procuratore non si sente di escludere che possa trattarsi dei misteriosi rifiuti radioattivi di cui si è sempre parlato dopo il naufragio della motonave "Jolly Rosso" arenatasi sulle coste locali negli anni '90. "È un'ipotesi suggestiva – aggiunge Giordano – ma altamente probabile. Se saranno individuati dei fusti mi auguro che siano rimasti integri altrimenti c'è il concreto pericolo che siano state inquinate le falde acquifere».
L'inchiesta paolana s'inserisce nel sinistro scenario d'una serie di naufragi sospetti. Avvenuti nel Mediterraneo tra il 1981 e il 1993. Naufragi di una ventina di motonavi battenti bandiera italiana, greca, maltese, di Antigua e di Saint Vincent. Imbarcazioni che si ipotizzava potessero essere state dolosamente affondate per incassare il premio assicurativo e, nel contempo, smaltire rifiuti pericolosi. Sospetti rimasti però senza concreto riscontro, inizialmente avvalorati, tuttavia, dal ritrovamento di una strana cartina geografica. Un documento su cui venivano pedissequamente indicati i punti nautici in cui i relitti erano stati inghiottiti dal mare. La trama sembra quella d'un romanzo di Ian Fleming. Il via agli accertamenti venne dato ufficialmente con la riapertura del fascicolo sul naufragio della "Jolly Rosso". S'ipotizzò, infatti, che l'imbarcazione trasportasse rifiuti tossici e che i fusti fossero stati sepolti in parte sotto i fondali e in parte nell'area costiera di Amantea. L'ipotesi investigativa rimase però inizialmente priva di riscontri. Gli scavi compiuti lungo gli argini di un fiume e le ispezioni subacquee eseguite a largo della cittadina tirrenica non rivelarono infatti la presenza di depositi clandestini di sostanze nocive. Ora il colpo di scena. Arricchito pure dalle rivelazioni d'un pentito. Già, perchè in un processo istruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro contro le cosche operanti lungo la fascia tirrenica del Cosentino, sono comparsi i verbali contenenti le dichiarazioni del collaboratore di giustizia reggino Francesco Fonti. L'ex trafficante di stupefacenti originario della Locride, ha rivelato ai pubblici ministeri l'esistenza di una nave affondata a largo di Cetraro. Una nave stracarica di rifiuti tossici spedita in fondo al mare proprio per smaltire illegalmente il pericolosissimo carico che portava nascosto nelle stive. L'ex "narcos" ha riferito ai togati che per compiere l'operazione venne utilizzato un motoscafo d'altura fornito dalla cosca dominante di Cetraro. Il veloce natante servì a trasportare sull'imbarcazione la dinamite usata per provocare
l'inabissamento. Non solo: Fonti ha pure precisato che l'equipaggio venne recuperato dal motoscafo, trasportato a riva e poi fatto salire su treni in partenza dalla stazione di Paola in direzione del Settentrione. A due esponenti della cosca mafiosa locale furono versati da Fonti duecento milioni di lire a titolo di ricompensa per la «collaborazione» offerta. Le carte nautiche più aggiornate e i rilevamenti dei sonar pare segnalino nell'area indicata dall'ex boss la presenza di un relitto. Si tratterebbe, tuttavia, di una nave
affondata durante l'ultimo conflitto mondiale e non di un vascello usato come discarica marina di scorie immonde. Fonti avrebbe reso confessioni sul traffico internazionale di rifiuti tossici pure alla Dda di Potenza. Il mercato dei veleni (non solo radioattivi) è tuttavia da tempo un grande business. Una scia olezzosa di scorie industriali e immondizia ospedaliera collega infatti il Settentrione alla Calabria. Il grande "affare" ha occulti padroni: "colletti bianchi" e 'ndranghetisti. Che pasteggiano allegri e impuniti all'imbandita mensa allestita da faccendieri spregiudicati e imprenditori senza scrupoli. I materiali provenienti da aziende e nosocomi finiscono interrati, in gran segreto, sul nostro territorio.
Confusi, magari, tra la vegetazione boschiva. Dello smaltimento di rifiuti tossici ha pure parlato un altro pentito di 'ndrangheta. Giuseppe Morano, "picciotto" delle cosche della Piana di Gioia Tauro,
ha rivelato alla Dda di Reggio, che le cosche avevano intenzione di gestire discariche di rifiuti tossici. «Dovevano fare una società, non so se la stanno facendo, so che era in sospeso...Una persona che aveva molti agganci...Diciamo uno che aveva a che fare con quella discarica che hanno scoperto a La Spezia...Lui diceva: "Possiamo fare una discarica a Serrata...Magari ci mettiamo un capannone vicino, con i macchinari per bruciare i rifiuti tossici. L'importante è che ci danno a noi la gestione, l'appalto..."».
LA GAZZETTA DEL SUD 1 SETTEMBRE 2009
1 settembre 2009 – Greenreport.it